INTRODUZIONE DI MARIA PAOLA MAINO E IRENE DE GUTTRY
Negli anni Trenta e Quaranta del Novecento il torinese Pierluigi Colli è uno dei mobilieri che meglio si caratterizzano per un proprio stile originale, pur rivelando un’esplicita appartenenza a un’epoca definita. Nonostante tragga ispirazione dai grandi mobilieri francesi che ha avuto modo di conoscere durante i suoi studi compiuti a Parigi, si dimostra capace di elaborare un modo tutto italiano e personale del déco.
Appartiene alla generazione che si adatta al nascente sviluppo industriale e impersona la transizione tra artigianato e industria. Già in epoca liberty alcuni mobilieri come Bugatti, Quarti e Cometti, essenzialmente artisti-artigiani, avevano fatto ricorso nei loro laboratori a una parziale meccanizzazione. Nel periodo tra le due guerre la produzione si fa sempre più industriale, ma Colli, al pari dei suoi ben noti contemporanei Melchiorre Bega e Guglielmo Ulrich, non rinuncia alla cultura del “pezzo unico”, del “rifinito a mano”. Si inserisce con cifra originale nel filone novecentista, proponendo mobili solidi e corposi il cui punto di forza è una complessa e accurata lavorazione a intarsio e a intaglio. Dell’artigianato artistico, vanto e primato italiano da secoli, nel campo del mobile Colli è uno degli ultimi interpreti.
Perfino dopo la seconda guerra mondiale, quando si entra in un’era in cui si produce in gran serie, in cui i titolari delle industrie mobiliere si affidano ad architetti e designer per creare i prototipi dei loro mobili moderni, Colli, industriale sui generis, pur adeguandosi all’evoluzione del gusto, vanta ancora una produzione personalizzata e continua, per lo meno per tutti gli anni Cinquanta, a disegnare egli stesso la maggior parte dei modelli che produce.